« Grazie, Gesù, per il dono della vita » 

(dall’Omelia  del Patriarca al funerale di don Antonio Biancotto, 10 giugno 2024)

Siamo qui convenuti per celebrare l’Eucaristia, il gesto ecclesiale che stava più a cuore a don Antonio il quale, se potesse, farebbe sentire la sua voce per ringraziarci. Sì, preghiamo all’altare del Signore per lui e con lui nella realtà viva della comunione dei santi che supera il tempo. Sì, l’Eucaristia fu per don Antonio riferimento essenziale, vera passione, spazio spirituale in cui abitava ed invitava tutti. Le ultime parole del Vangelo appena proclamato costituiscono la fondazione della nostra fede: «…“Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto”» (Lc 24,1-6).

Don Antonio rimarrà nel ricordo della nostra Chiesa – come altri sacerdoti veneziani – per lo zelo, la fede, la generosità ma, in particolare, perché ha costituito, nel centro di Venezia, nella zona di Rialto, la comunità degli adoratori del Santissimo Sacramento che, insieme all’evangelizzazione di strada, è una vera forma di Chiesa in uscita in una zona della città secolarizzata, dedita al commercio, al turismo, al divertimento. Torna in mente la Corinto di cui ci parlano le lettere di san Paolo. L’adorazione eucaristica quotidiana – ventiquattro ore al giorno per tutti i giorni dell’anno – nasce da un’idea e dall’impegno, talvolta eroico, di don Antonio e di tanti e tante che lo hanno seguito in questa coraggiosa scelta pastorale… La vita è breve e ci appartiene per quel tempo di cui Dio ci fa dono e, poi, siamo chiamati a restituirla con la serenità e con la gioia di chi sa di continuare comunque ad appartenerGli, seppure in modo diverso, attraversando la soglia della morte, la porta che dischiude alla vera vita. Don Antonio, concretamente, con semplicità e con generosità, ha seminato nelle molte comunità parrocchiali a cui è stato mandato, nella casa circondariale maschile, nella casa di reclusione femminile, in Seminario Patriarcale come confessore, nell’evangelizzazione di strada a Rialto, a Marghera e a Jesolo; si è impegnato a liberare le donne vittime di sfruttamento e per reinserire nella società chi aveva concluso il periodo di detenzione. Caro don Antonio, hai scritto una bella pagina, anzi numerose belle pagine per la Chiesa di Venezia, continuando una tradizione ricca e bella che onora il nostro presbiterio. Non so se sarà scritto un libro su di te, ma da sempre sono convinto che le pagine più belle e significative si scrivono mentre si è in vita, in modo silenzioso e secondo lo stile di Nazareth, giorno dopo giorno appunto nel silenzio. Tu non cercavi le luci della ribalta, gli articoli e le fotografie sui giornali, portavi avanti le cose del tuo ministero (ed erano veramente tante) nel silenzio e nella serenità, anche quando non eri capito. Non eri perfetto. Lo sapevi, lo dicevi e non ti costava dirlo. Mi ha colpito sentirti ripetere spesso negli ultimi giorni – quando la debolezza era la tua compagnia abituale – che eri grato al Signore del dono della vita. Sì, più volte lo hai ripetuto anche quando lo sfinimento ti toglieva, via via, ogni energia tanto da non riuscire nemmeno a compiere i gesti fondamentali. Mi rimarranno impresse queste tue parole: “La vita è bella. Grazie, Gesù!”, “Grazie Gesù per la vita” e, alla fine, semplicemente, “Grazie!” detto con un filo di voce e, poi, solo con lo sguardo… Caro don Antonio, è stato bello incontrarti, sei stato un “bel” compagno di strada, convinto e determinato nel portare avanti ciò che ti sembrava rispondesse al bene che, come sacerdote, il Signore Gesù ti chiedeva in quella o in quell’altra situazione per le persone che Lui ti aveva affidato, attraverso il mandato della Chiesa. Mi hai anche detto che non ti sono mancati attacchi che ti hanno fatto soffrire. Avevi paura del dolore – lo dicevi – ma non temevi la morte e negli ultimi giorni il Signore ti ha fatto dono di una serenità profonda e piena, di cui tu stesso ed io eravamo rimasti felicemente sorpresi. Sì, Dio è grande e non ci prova più delle nostre forze… Carissimo don Antonio, ci hai testimoniato che sapersi abbandonare a Dio con semplicità, disposti ad accogliere quanto Lui ci indica, è sinonimo di santità. Una santità che gioisce non dei propri progetti, delle proprie realizzazioni ma di lasciarsi portare là dove il Signore vuole che noi siamo.

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